sabato, febbraio 19, 2011

Chiamami per Cena.

Avevo i Capelli Scomposti al Vento,
il Viso sempre sporco di Terra,
le mie Mani odoravano di Buono,
i Piedi scalzi correvano anche sui Sassi,
le Risate erano così fragorose.

Non mi curavo di come apparissi,
sicuramente erano le Emozioni ad interessarmi,
la Curiosità per un nuovo Mondo.
Avevo il Cuore aperto alle Sensazioni
con la dirompente voglia di Vivere.

Inventavo le Parole,
quando non ne trovavo alcune
che potessero veramente esprimere
ciò che provavo dentro
nell'attimo in cui mi veniva chiesto.

E avevo così fame
di tutto quello che era intorno a me
che era così semplice pretenderlo
e chiedere che mi venisse dato,
perché la mia Purezza, conquistava
chiunque guardasse i miei Occhi.

E la Vita era il Gioco più bello
a cui potessi partecipare.

Finché non lo vidi saltare.
In un attimo tutto era terminato,
come quando tua Madre ti chiama
per andare a Cena e tu devi salutare.
Avevo la stessa Amarezza nel Cuore,
ma non sapevo il perché.

Non mi avvicinai.
Riconobbi il mio Amico di Giochi
che gridava dalla finestra,
guardando il vuoto, verso il Corpo del Padre.
Qualcosa mi disse di non muovermi,
che non era il caso che capissi.

Così rimasi col viso impassibile,
impietrita vedendo la gente correre,
sentendo grida di voci familiari,
non analizzando fino in fondo
che cosa stesse realmente accadendo.

Poi ascoltai i discorsi delle Persone.
Dicevano che non stava bene,
che da molto aveva un comportamento strano,
che forse era stato spinto da qualcuno,
che non lo avrebbe mai fatto veramente.

E io guardavo il mio Amico
seduto a Terra accanto al Giardino,
giocare con un Bastone con le Formiche.
Ed era solo, nessuno si curava di lui.
Del suo Dolore.

Così mi avvicinai e tentai di ridere,
gli dissi che, per me,
suo Padre aveva tentato di volare
e che non c'era riuscito.
Lui mi guardò annuendo.

Tornammo a casa per mano.

Non riuscii più a sorridere come prima,
perché compresi che non tutto
era realmente possibile,
che non tutto doveva riuscire
esattamente come l'avevamo Sognato.

Quella notte non dormii.
Ripensavo al suo Volo,
al fatto che non era riuscito a farlo.
Che nessuno gli aveva insegnato a farlo.
Ed ero convinta che se avesse chiesto,
avrebbe imparato sicuramente.

E poi pensai che magari,
non aveva chiesto di imparare,
perché non gli interessava. Non voleva volare.
Voleva solamente
concludere un gioco che aveva iniziato,
non avendo nessuno che lo chiamasse per Cena.

Da quel giorno smisi di Ridere fragorosamente,
smisi di credere che Chiedere fosse indispensabile,
che la Vita fosse un qualcosa di buono da mangiare
e che in fondo quando sei stanco,
c'è sempre qualcuno che ti chiama per andare a Cena.

E sarebbe ora di Cena,
di smettere questo gioco e di udire la tua voce.
Oppure di imparare a Volare, senza Chiedere.
Ma rimango terrorizzata come quel giorno
in cui capii che non avevo compreso nulla
di quello che avevo realmente vissuto.

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