La Prima quando il Cuore batte.
Ella camminava con la Sicurezza di una Madre devota,
sul viso, il Sorriso della Crescita dei suoi Bambini.
Nel grembo ormai vuoto, il ricordo della Completezza.
Volava sulle parole degli Altri, sollevandole come Polvere,
insindacabile giudizio di Lei, che amava Loro più della stessa sua Vita.
L'unica Forza di una Esistenza inutile e Spenta.
Ritrovava nelle Foto le Sensazioni di ciò
che ora non riusciva più a provare, perdendosi nelle Lacrime.
Spingeva le Mani sul Grembo, come per Abortire il Prossimo Venturo.
Scuoteva la testa non capacitandosi a volte, della forza
che era riuscita ad avere in determinate situazioni e che ora,
non era in grado di trovare per poter di nuovo Respirare.
La Seconda quando la Testa è Lontana.
Lunghi Silenzi cancellavano antichi ricordi,
le Mani si sfioravano solo per pochi attimi in cui Lei
avrebbe voluto dimenticare l'antico Voto con il quale gli era Legata.
Tramortita nell'Anima e Sconfitta in tutto quello che credeva,
si trascinava verso il Futuro con gli Occhi spenti, uguali
a tutti quelli che avevano Sofferto. E che erano Morti.
La bocca era oramai Logora di tutti quei Pensieri
graffiati nell'Aria e lasciati li, appesi come quadri inutili
alle Pareti del Cuore. Che Lui non sapeva di non avere più.
E la sua Testa era oramai persa in altri pensieri,
la sua Anima era morta il giorno in cui Egli le aveva detto
del suo Rancore. Il Cuore si stava Esimendo dal Battere Ancora.
La Terza in presenza di sola Anima.
Cinta d'affetto e sospirati baci, risa e scherzi costellavano,
senza mai fermarsi, brevi attimi nei quali era curata
da quel Veleno che le cresceva dentro come un Cancro.
Lama a doppio taglio, di una Gioia dirompente e perdurante,
di una Solitudine e malinconia devastante, di un Angelo
che in tutto incarnava cosa Lei desiderasse. O quasi.
Urlava alla Carne Inviolata nelle interminabili Inverni
di tutti i suoi Giorni. Stringeva i Pugni chiudendoli fra le Cosce.
Sperava così di Ottenere quell'Amore che Lui non aveva per Lei.
Chinava ancora la Testa al suo Orgoglio devastante,
dilaniava la Carne nella Notte sperando di trovare Pace
in tutto quello che doveva essere Salvezza. Dimostrandosi poi Limbo.
La Quarta, in assolo silenzioso di Carne.
Scioglieva i Capelli nel Manto Nero della Notte scordando
tutto quello che di Giorno era consono essere e chiedere.
Attendeva un lento Stillicidio che la veniva a trovare ogni Sera.
Aveva sempre un Volto diverso, un Odore incostante,
Mani diversamente Curiose, Parole disarmoniche all'Anima.
Solo l'istinto era sazio di ciò che accadeva. Chiudeva gli Occhi e non pensava.
Si lasciava così Prendere, ascoltando solo i battiti ritmati della Carne
che batteva noncurante contro la Sua. Ella non s'accorgeva
che ognuna di quelle era una Lancia. Piantata in fondo all'Anima.
Ma non riusciva a smettere di Desiderare nuovi Odori,
Sapori sconosciuti i Ritrovati, Parole Lascive prive di Sentimento.
Dopo ogni incontro, era ancora più vuota. Più Arida. Più Cinica.
5 commenti:
...avevo un lungo frasario ad effetto tipico della nostra generazione. Pronunciavo frasi che non significavano nulla per chi non mi conosceva… Ero permalosa, educata e fuori dagli schemi.
Sai, anche io in fondo ho sempre cercato Dio. Ma Dio non aveva mai tempo per me. Le sue mani non mi davano conforto. Dio stava solo a guardare mentre io soffrivo e non riuscivo a migliorare. C’ero solo io e i miei sbagli. Ero stata costretta ad essere così, ma non avevo attenuanti, benché fossi stata sincera. Camminavo con i pensieri che scavavano e avevano tutti i rumori più insopportabili.
Al primo essere vivente che mi avesse detto che gli uomini erano dei fanciulli indifesi, che reagivano con me in quel modo solo per capriccio, gli avrei sputato in faccia allora. Dormivo poco e mangiavo meno. Fino a quell’età non avevo mai corso così tanto.
Intorno a me, vedevo tanta povertà di anime, tra i porci dalle belle parole ed io, ero come un batuffolo d’aria con impregnata un po’ della mia essenza. Ero una bambina, con il cuore rosso sangue, pieno di segreti.
lilly
continuo...
La notte non mi voleva più, i sogni mi condannavano. Quegli occhi che mi guardavano bui e neri, come le mie emozioni rotte dai rimorsi, mi facevano paura. Li sfuggivo come Eva nell’Eden. L’uomo, quello strano essere oscuro, era divenuto per me un dio di nulla. Avevo paura, la paura mi raschiava la gola, mi corrodeva lo stomaco.
La solitudine, mi rendeva pazza.
Sognavo un uomo che non esisteva. Volevo un vuoto da riempire. Volevo sentirmi qualcuno.
Ma quando è che ci si sente qualcuno? Mi chiedevo.
Come avrei fatto a scoprire di essere qualcuno? Eppure ero consapevole di essere una persona che sapeva offrire. Che sapeva dare, che sapeva amare.
Sognavo un uomo che mi ricoprisse di attenzioni. Sarei stata io a dargli quel potere.
Avrei potuto tutto. Invece ero rimasta sola. Praticavo il silenzio.
Lilly
Scrivevo le mie poesie in cui esplodeva la mia rabbia e sparavo a zero su tutto. Offendevo con le parole. Le giornate sapevano di paranoie, e le mie fantasticherie sull’infinito e l’universo erano concetti e teorie sulla stupidità umana.
Quella era la mia unica teoria.
Dopo aver varcato la soglia di casa per ribellione, tutto mi fu precluso, anche la tua amicizia.
Che dolore provai in quei lunghi e interminabili giorni di disperazione, quando la mia vita sarebbe dovuta essere come un bocciolo perfetto di una rosa.
Lilly
continuo...
Intrapresi una via diversa dalla tua. Una clausura forzata dalla quale volevo uscirne fuori. Una prigionia che mi languiva in corpo e che non riuscivo a contenere.
Mi inabissai per cinque anni in un tunnel, un buco nero che mi faceva sprofondare sempre più in basso, verso un futuro che io rinnegavo con tutta me stessa. Lo odiai quel futuro e gli sputai addosso, forse da codarda, allontanandolo da me, come se fosse la peste. Una malattia che mi stava portando alla morte dello spirito.
Poi la vita cambiò. Tornavo a casa e trovavo Lui, a cui chiedevo di lottare con me. Con lui scoprii modi diversi d’amare.
Continuavo a scrivere poesie. Ma versavo ancora molte lacrime.
Ero stanca…In alcuni momenti, diventavo insopportabile.
Lui allora mi implorava di non rovinare tutto. Ma io ero diventata ormai una a cui, se si diceva ciò che doveva o non doveva fare, reagiva male. Ero diventata istintiva, aggressiva e accusatrice. Lo accusavo sempre di non capire. Ma quella che era arroccata dentro se stessa ero solo io. Gli facevo del male, e spesso, picchiavo duro con le mie parole. Lui ci moriva dentro.
Ogni volta. E schiacciato dal peso che comportava non avere altri che me, mi sopportava, ma, lo logoravo.
Lilly
ancora...
Per me, esistevo solo io. Io e il mio male personale. Il mio così tanto insopportabile ‘Privato’.
...Nel mio passato i giorni erano trascorsi pieni di cose orribili e noiose, non c’era spazio per altro. Arrivava la sera ed ero stanca, volevo tanto scrivere, ma mi bruciavano gli occhi, dormivo e avevo incubi. Così arrivava l’indomani. Il sole passava con difficoltà attraverso le mie rigidità. Fumavo a polmoni pieni e pensavo che sarei riuscita a nascondere tutto in un angolo buio del mio cuore, mentre la sigaretta tracciava i solchi del mio odio. In certi giorni non esistevano malinconie, avevo voglia solo di sentirmi leggera e soddisfatta. Il domani sarebbe stato diverso ma ci avrei pensato un po’ su, l’indomani. Volevo dimenticare, volevo imparare a vivere in ogni luogo del mondo e non sentirmi più sola. Cosa mi accadeva allora? Ero io? Le cose tristi le chiudevo nel mio scrigno, ma mi ripromettevo che un giorno, la chiave l’avrei buttata e sarei tornata la bambina che ero.
Io era una vigliacca, ma avevo dovuto imparare ad esserlo per non soffrire troppo. Urlavo bisogno d’amore, mi mancava più del cibo, più dell’aria…
Ma non erano quelle le condizioni, non ero io la padrona di me stessa.
Non sapevo cosa aspettarmi da me e non sapevo se mi avrebbe fatto bene mostrarmi come ero realmente.
Cercavo la serenità. In alcuni momenti avevo la sensazione che il mio cervello fosse in continua ricerca, sempre al lavoro e così al mattino mi svegliavo esausta dopo ore di dormiveglia, di sogni orribili in cui rivivevo tutti i miei fallimenti.
Bramavo la serenità.
Ma mi dicevo in continuazione che quello era il mio passato.
Dovevo farmene una ragione.
L’avevo scelto o mi ero fatta scegliere.
Avevo scelto qualcuno che mi leggeva ma non mi scriveva, che sapeva parlare solo di quello che gli occhi vedevano.
Dentro di me sentivo una tempesta di sentimenti e pulsioni, ma ritenevo di avere un dovere: quello di accontentarmi perché poco amore era meglio di tanta indifferenza.
Mi guardai attorno e mi accorsi di quante cose mi fossi negata in tutti quegli anni.
Volevo una persona che mi avrebbe cambiato la vita solo pronunciandomi le parole giuste.
Potevano cancellare il resto che mi stava attorno, non sarebbe esistito nient’altro.
Non mi sarebbe servito nulla.
Sono cresciuta in fretta con un rancore tumorale nell’anima, con le lacrime sempre vicine al contorno degli occhi.
Nessuno le fermava più, lasciava che si suicidassero che perdessero il sale mischiandosi al trucco del viso che calcavo forte per nascondere le mie cicatrici. Quelle che mi infliggevo per essere notata.
Guarda, avrebbero esclamato, ha uno sfregio in faccia.
Così avrei attirato l’attenzione, avrei capito che l’esteriorità era ciò che valeva maggiormente.
Ma ora… Ora sono una donna libera… libera di fare e pensare tutto.
Posso non condividere.
A volte non condivido.
...
Te lo lascio con grande affetto, a te che puoi capire
Lilly
(da un mio libro autobiografico)
Un abbraccio
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