Adoro poggiare la testa atterra,
sentire il peso del mio corpo comprimere le spalle,
distendere braccia e palmi completamente.
Sostenere con le ginocchia le anche
e respirare.
Lo faccio spesso quando devo ritrovare me stessa,
riprendere il contatto con la terra
con l'ambiente, con il mio corpo.
In quel momento scordo tutto il resto
e dedico tempo ad ascoltare
che tutto si rilassi, che prenda il suo tempo
che batta all'unisono.
E sfollano dentro di me le immagini
di cui non mi riesco a liberare di notte
lasciano spazio alle mie fantasie e debolezze.
Ripercorro le scale di quel castello
che ospitò un tempo ciò che chiamavo Amore.
Il mio vestito rosa tea, sfuma col grigio marmo delle scale.
Corro scendendo la lunga chiocciola per arrivare all'impetuoso portone.
Lascio i lembi del mio vestito e spalanco le porte.
Il sole acceca i miei occhi che socchiudo per vedere oltre la luce.
I miei capelli raccolti in lunghe trecce sistemate sulla fronte,
non accennano a scomporsi alla tempesta del mio animo.
Imperturbabile. Come la tua scomparsa.
La vista del tuo cavallo bianco disarcionato.
Non so più a cosa pensare, mi appresto ad accarezzargli il muso
per placarlo, per cercare di farmi dire dove sei.
Scuote la testa, respira affannoso.
S'impenna e corre nella stalla, al suo solito posto.
Nel frattempo cado in ginocchio
con gli occhi fissi alla radura
su questa ghiaia candida come le mie lacrime.
Improvvisamente tutto mi appare così vuoto,
senza senso. La vita stessa perde di consistenza
confondendo un regalo con l'eterna condanna.
E piove sopra il mio corpo stanco della vana attesa.
Capelli imperturbabili al vento, al trascorrere del tempo,
dal colore del grano avvelenati dal buio della notte.
Il rosa del vestito ha lasciato il posto ad un nero manto lucente,
il viso soave e irridescente è frantumato nello specchio
delle mie non emozioni.
Le mani un tempo si muovevano intonando canti,
ora le lunghe unghie eburnee raccolgono solo freddi candelabri.
Gli occhi sono gli stessi,
perché quello che il tempo cambia, il mutare degli eventi,
può farci apparire diametralmente opposte a quello che siamo.
Ma gli occhi sono lo specchio dell'anima, anche essendo mistificatori
è difficile nascondere quello che siamo e cosa proviamo.
E benché possiamo scrivere e urlare e avvelenarci l'un l'altro,
io ho visto attraverso i suoi occhi e non riesco a scordarlo.
Pongo così il viso a terra,
sprofondo in questo fango dove una volta i tuoi passi
allietavano i miei. Abbraccio ciò che mi è rimasto accanto.
Ritorno ad essere quello che ero,
riprendo costanza in pensieri e in parole.
Ometto stupide omissioni.
sentire il peso del mio corpo comprimere le spalle,
distendere braccia e palmi completamente.
Sostenere con le ginocchia le anche
e respirare.
Lo faccio spesso quando devo ritrovare me stessa,
riprendere il contatto con la terra
con l'ambiente, con il mio corpo.
In quel momento scordo tutto il resto
e dedico tempo ad ascoltare
che tutto si rilassi, che prenda il suo tempo
che batta all'unisono.
E sfollano dentro di me le immagini
di cui non mi riesco a liberare di notte
lasciano spazio alle mie fantasie e debolezze.
Ripercorro le scale di quel castello
che ospitò un tempo ciò che chiamavo Amore.
Il mio vestito rosa tea, sfuma col grigio marmo delle scale.
Corro scendendo la lunga chiocciola per arrivare all'impetuoso portone.
Lascio i lembi del mio vestito e spalanco le porte.
Il sole acceca i miei occhi che socchiudo per vedere oltre la luce.
I miei capelli raccolti in lunghe trecce sistemate sulla fronte,
non accennano a scomporsi alla tempesta del mio animo.
Imperturbabile. Come la tua scomparsa.
La vista del tuo cavallo bianco disarcionato.
Non so più a cosa pensare, mi appresto ad accarezzargli il muso
per placarlo, per cercare di farmi dire dove sei.
Scuote la testa, respira affannoso.
S'impenna e corre nella stalla, al suo solito posto.
Nel frattempo cado in ginocchio
con gli occhi fissi alla radura
su questa ghiaia candida come le mie lacrime.
Improvvisamente tutto mi appare così vuoto,
senza senso. La vita stessa perde di consistenza
confondendo un regalo con l'eterna condanna.
E piove sopra il mio corpo stanco della vana attesa.
Capelli imperturbabili al vento, al trascorrere del tempo,
dal colore del grano avvelenati dal buio della notte.
Il rosa del vestito ha lasciato il posto ad un nero manto lucente,
il viso soave e irridescente è frantumato nello specchio
delle mie non emozioni.
Le mani un tempo si muovevano intonando canti,
ora le lunghe unghie eburnee raccolgono solo freddi candelabri.
Gli occhi sono gli stessi,
perché quello che il tempo cambia, il mutare degli eventi,
può farci apparire diametralmente opposte a quello che siamo.
Ma gli occhi sono lo specchio dell'anima, anche essendo mistificatori
è difficile nascondere quello che siamo e cosa proviamo.
E benché possiamo scrivere e urlare e avvelenarci l'un l'altro,
io ho visto attraverso i suoi occhi e non riesco a scordarlo.
Pongo così il viso a terra,
sprofondo in questo fango dove una volta i tuoi passi
allietavano i miei. Abbraccio ciò che mi è rimasto accanto.
Ritorno ad essere quello che ero,
riprendo costanza in pensieri e in parole.
Ometto stupide omissioni.
1 commento:
Dove sei?
Ovunque sei
perdonami se ti penso
perdonami se ti cerco
perdonami se ti sogno
riposo i ricordi tra le mani
tra la dolcezza infinita dei tuoi perchè...
Posta un commento