giovedì, gennaio 15, 2009


A volte mi fermo un attimo e rifletto sconsideratamente sul nulla, su un qualcosa che ho letto e che, essendo in quel momento carta bianca, si è impresso nella mia mente.
Come l'ultimo post di Squilibrato che raccontava in modo così dolce e passionale della sua morte per mano di una ghigliottina.
Mi rendo conto che tutti hanno dei limiti e tutti quelli che ne sono al di dentro, sono normali.
Poi mi capacito di chi da superato quei limiti ed è entrato in un'altra sintonia totalmente diversa dalla prima. Non ho parole per classificare questa fascia di persone perchè ne sono al dentro e, sinceramente, non amo chiamarmi in alcun modo.
Io sono così.
Raramente questo essere al di sopra, o al di fuori se lo si vede come um limite terreno, dei limiti è condiviso con qualcuno. Di solito rimane represso dentro di noi e aleggia a volte nella nostra testa, titinnando pensieri spossati.
A volte diviene ossessione, come per una ragazza di cui lessi un racconto su una personale esperienza di follia. E li si può scegliere se avere un contatto, un unico contatto per sentire il filo del limite fra le mani, usarlo e poi rilasciarlo dove è o passarci attraverso e cercarne un altro.
Tante volte mi dico che mi basterebbe poco per fermarmi, razionalmente parlando è possibile.
Si entra in contatto, si usa, si lascia.
Poi arrivo al mio limite, naturalmente lo supero e subito apro le mani. Il filo cade. Sono al buio. Mai ho cercato di riprenderlo da terra, ma con lo sguardo sono sempre andata avanti cercandone un altro che fosse baciato dalla luce della luna.
Non vedendo i limiti in maniera terrena, non ho scalato qualcosa di preciso, ma ho trovato la differenziazione nelle sensazioni. Ho capito quelle che mi servono e in che momento.
Quando la dolcezza è stucchevole come il marzapane o quando è un nuovo gusto che mi sconvolge, come il prosciutto mangiato assieme al cioccolato extra fondente, goduria pura.
Il problema poi nasce al momento in cui mangi per alcune volte di seguito lo stesso cibo o, addirittura, quando lo cucini in modi industriali per cui è con gli occhi che mangi e non più con la bocca.
E hai bisogno di variare, accostare nuove sensazioni nello stesso modo avvolgi delle prugne con la pancetta e le metti a rosolare in forno. Le curi, le arrotoli, le spiedi, le sistemi e attendi. Attendi il momento giusto per tirarle fuori dalla tua testa e quando lo fai le guardi sapendo di non poterle addentare subito.
Da li, si da li, nasce il primo piacere che per me è il più devastante. L'attesa. Come mi piace l'attesa, il gioco che prolunga una lenta agonia destinata ogni volta ad avere nuove regole a volte dettate, a volte imposte.
Ma che importa? L'essenziale è giocare.

Ed è su questo disequilibrio fra razionalità e intensione di intenti e follia e desiderio che a volte combatto. Ma è come un cuoco che sogna di cucinare la più pregiata delle carni e non averla mai vista, annusata, inserito al suo interno le dita, fatto cedere le fibre e vedere gli umori uscirne rigogliosi.
Può solo pensare che un giorno avrà la possibilità di tenerla fra le mani, sentirne il calore e allora si, non dovrà sbagliare. E godrà passando la lama di un coltello su quella carne, aprendone i lembi e scrutandone all'interno per poi succhiarsi le dita e iniziare nuovamente, finchè non sarà soddisfatto

E ora giocando porto le dita alla bocca.

4 commenti:

SerialLicker ha detto...

attesa e desiderio sono fratelli, complici e incestuosi amanti. E la follia, e la malattia in genere, ci hanno regalato cose senza le quali saremmo più poveri. Van Gogh era astigmatico: con gli occhiali non avrebbe visto le stelle e la luna con l'alone chiaro che lo ha reso famoso. Jim Morrison scriveva e si faceva. Da sobrio, che cosa avrebeb scritto? Filastrocche?

(ps... adoro - A-DO-RO - l'ultimo capoverso, che potremmo intitolare, chiedendo un prestito a Irvine Welsh, "I segreti erotici dei grandi chef")

Duca Nero ha detto...

Un coltello nella carne...
Nello stomaco,
nel cuore,
nel cervello.
Bello e sconvolgente.
Dolcissimo e amaro.
Sapori contrastanti.
L'essenziale è giocare.
E del filo caduto, quello rimasto a terra...
... chi se ne frega.
L'essenziale è giocare.

NERO_CATRAME ha detto...

L'attesa aumenta il desiderio,come lo sfuggire,crea quei sogni che con la fantasia inebriano i sensi,perchè fermarsi a raccogliere i propri limiti e non attendere quelli nuovi?Perchè uno ha limiti e due no,almeno per me è così.

Allora giochiamo.Ma non di parole,di fatti e solo con i sogni dell'attesa,non di chi si racconta e poi non ne è capace,non di chi non capisce anche se l'altro tace.
Giocare con me non è pericoloso,lo è giocare contro di me.

@SerialLicker sTai parlando di me?Follia,"I segreti erotici dei grandi Chef"?eheheheheehh
Il pranzo è servito

SerialLicker ha detto...

Nero, se il frammento è tuo m'inchino... se sei Irvine Welsh m'inchino due volte ;)